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L’EDIZIONE CRITICA DELLA PRIMA PARTE DELL’ IMMORTALE DI YOCHANAN ALEMANNO A CURA DI FABRIZIO LELLI.

 By Angela Guidi

 

 

La prima, seppur parziale, traduzione del Hay ha-‘olamim (L’Immortale) di Yochanan Alemanno è uscita nel 1995 a cura di Fabrizio Lelli per i tipi della casa editrice Olschki di Firenze. Preceduto da alcune pubblicazioni dello stesso Lelli su autorevoli riviste di storia del Rinascimento, e dal rinnovato interesse che la figura del loro autore ha suscitato negli ultimi decenni grazie ai contributi di M. Idel, di A. Melamed, e soprattutto di A. Lesley, questo lavoro colma un vuoto singolarmente persistente nello studio del pensiero ebraico e della cultura rinascimentale: se di Alemanno si sono occasionalmente occupati molti storici della filosofia in relazione ai suoi rapporti con Giovanni Pico della Mirandola, l’effettiva fisionomia della sua opera comincia infatti ad emergere solo in questi ultimi tempi, grazie ad una analisi minuziosa dei suoi manoscritti.

Il lavoro di F.Lelli è molto attento dal punto di vista filologico ed è corredato da un ricco apparato di note e da un efficace glossario ebraico-italiano. La ricostruzione biografica e la presentazione generale dell’opera sono assai ben documentate e arricchite inoltre da una breve ma illuminante postilla bibliografica nella quale vengono rapidamente passate in rassegna alcune delle tendenze della storiografia ebraica contemporanea, anche in relazione alla discussione di alcuni criteri della ottocentesca  Wissenschaft des Judentums. Per l’edizione (che comprende tutta la prima parte del testo, l’introduzione e un’appendice contenente un passaggio sull’utilità dell’insegnamento della retorica seguito dall’elogio della città di Firenze), Lelli si è basato sul manoscritto del Fondo Israelitico della  Biblioteca Comunale di Mantova (21, cc. 1r-229v), integrandolo, quando necessario, con l’unico altro esemplare rimastoci, il manoscritto Fol. 1618, cc. 52r-92v conservato a Berlino nella Orientalische Abteilung della Preussische Staatsbibliothek. Il primo è stato preferito perché autografo e perché, a differenza del secondo, riporta l’opera per intero. E’ inoltre importante sottolineare che questo lavoro presenta una caratteristica purtroppo molto rara nelle pubblicazioni italiane di testi ebraici, quella cioè di offrire al lettore una riproduzione ben leggibile del manoscritto originale e una traduzione che la segue fedelmente conservandone l’impaginazione

 

Alemanno è uno degli intellettuali ebrei più interessanti del XV secolo. Probabilmente nasce nell’Italia centro-settentrionale verso il 1434/5, ma comincia assai presto a viaggiare, passando per Firenze nel 1455, dove è ospite del banchiere ebreo Yehi’el da Pisa, poi per Padova e per Mantova. Nel 1470 consegue il titolo di “Doctor artium liberalium et medicinae” ; nel 1488 torna a Firenze una seconda volta, viene assunto da Yehi’el da Pisa come precettore dei suoi figli e incontra Giovanni Pico della Mirandola, con il quale collaborerà fino all 1494, data della morte di Pico. In questo periodo porta a termine le sue opere più importanti: L’amore di Salomone, che comprende una introduzione e un commento al Cantico dei Cantici e che Alemanno dedica allo stesso Pico della Mirandola; un commento al Pentateuco dal titolo Gli occhi della comunità religiosa, rimasto poi incompiuto; un Supercommentario al Commento di Mosheh ben Yehoshua da Narbona al trattato Hayy ibn Yaqzan del filosofo arabo Abu Bakr ibn Tufayl. La stesura dell’ Immortale, iniziata nel 1470 si concluse invece 33 anni più tardi, nel 1503. La morte di Alemmano avviene probabilmente pochi anni dopo a Mantova, dove si era definitivamente stabilito dopo aver lasciato Firenze ed essersi recato per qualche tempo a Bologna e a Ferrara.

L’Immortale è un testo abbastanza corposo, scritto in forma dialogica e diviso in più sezioni. La struttura generale prevede infatti una prima parte a carattere introduttivo (quella tradotta da Lelli), e una seconda e una terza nelle quali Alemanno descrive quello che a suo parere è il perfetto curriculum studiorum dell’uomo saggio. Questo percorso di studi è organizzato in base al ritmo settennale che regola l’esistenza umana, secondo una periodizzazione ipotizzata da Ippocrate e Pitagora ed elaborata in seguito dal già citato Abu Bakr nel suo Hayy ibn Yakzan, che probabilmente Alemanno conosceva attraverso un’anonima traduzione ebraica del sec. XIV. Ognuno di questi  cicli di sette anni è associato ad uno dei setti pianeti e ne subisce l’influenza. La formazione dell’individuo destinato a raggiungere il grado supremo della sapienza (che coincide con l’unione mistica con Dio), viene presa in considerazione già prima della sua nascita: Alemanno analizza infatti la sua provenienza familiare, le qualità dei genitori e in particolare della madre, le condizioni del cielo al momento del suo concepimento e della sua nascita, così come lo stato del seme al momento della procreazione. L’iter intellettuale del futuro sapiente prevede un primo periodo dedicato alla vita activa e un secondo dedicato invece alla vita contemplativa che attraverso lo studio della scienza divina culminerà alla fine nell’unione con Dio. Come quella di ognuno, anche la vita di questo individuo viene suddivisa da Alemanno in cinque fasi, corrispondenti alle cinque fasi della creazione, che sono definite con il termine di ‘olam, “mondi”:

1)    “Mondo dell’abitudine” (‘olam ha-minhag), che va dal momento del concepimento dell’uomo alla sua nascita.

2)    “Mondo dell’immaginazione (‘olam ha-dimyon), dalla nascita fino ai tredici anni.

3)    “Mondo del pensiero” (‘olam ha-machashavah),dai tredici ai venti

4)    “Mondo della vita sensibile” (‘olam ha-muchas), dai venti ai settanta

5)    “Mondo dell’intelletto definito” (‘olam sekel nivchan), che ha inizio al momento del distacco dell’anima dal corpo.

 

La descrizione delle ultime due fasi rappresenta una sorta di enciclopedia del sapere. Secondo un modello che si ritrova in molti trattati umanistici dell’epoca, in essa si passano in rassegna tutte le discipline, da quelle che riguardano il mondo materiale dell’uomo (geologia, geografia, climatogia, chimica, ecc.) a quelle che si occupano dello sviluppo della società (agricoltura, commercio, politica, etica ecc.), a quelle infine che sono in relazione con la parte teoretica dell’intelletto (metafisica, teologia, linguistica, poetica, logica, scienze matematiche, astronomia, astrologia).

 

 

L’edizione di cui trattiamo è purtroppo limitata alla prima parte dell’opera, quella forse di maggior interesse per lo studioso del Rinascimento italiano, ma probabilmente meno ricca delle altre di riferimenti a dottrine e pratiche cabalistiche. In queste pagine introduttive non sono tanto i contenuti ad essere al centro del discorso di Alemanno, quanto invece il metodo di lavoro prescelto per esporli.

In linea con l’ideale umanistico ciceroniano di un sapere filosofico che fornisse gli strumenti linguistici per un’azione politica e civile, Alemanno intende rivalutare la retorica come disciplina fondamentale, sottraendola al ruolo subordinato che l’organizzazione scolastica delle scienze le aveva da tempo attribuito. A differenza però degli umanisti cristiani, che fanno riferimento agli autori classici del mondo latino come Cicerone, Quintiliano o Marciano Capella, le sue fonti sono soprattutto i testi dei filosofi arabi che avevano rielaborato l’ordinamento delle discipline suggerito da Aristotele, e in particolare i commenti di Averroé alla Retorica e alla Poetica aristoteliche,  tradotte in ebraico da Todros Todrosi nel 1337. In generale, la filosofia araba vedeva nella retorica uno strumento riservato alla massa, dato che l’élite dei dotti poteva far uso di strumenti intellettuali più complessi quali la dialettica e la logica. Lo stesso Maimonide nella Guida non si discosta da questo modello,  come farà anche Moshe ibn Tibbon nel suo Commento al Cantico dei cantici. In ambiente ebraico, il primo trattato che elaborerà una visione alternativa della retorica è il Sefer nofet tsufim (Libro del miele stillante dai favi), composto tra il 1454 e il 1474 da Yehudah ben Yechiel, più noto come Messer Leon. Alcune delle idee elaborate in quest’opera possono essere rintracciate anche nell’Immortale.

Se, quindi, la retorica occupa per Alemanno una posizione analoga a quella accordatagli da umanisti come Lorenzo Valla o Ermolao Barbaro, gli strumenti attraverso cui egli arriva ad affermarne l’importanza non sono affatto gli stessi, e non soltanto per quanto riguarda le fonti. Questa rivalutazione della retorica come pratica educativa è strettamente collegata infatti all’idea che la lingua ebraica sia “più perfetta di tutte le lingue per il fatto che essa ha la proprietà di accordarsi con ciò che esiste” (pag.154), secondo quanto dimostrano sia gli studi grammaticali scolastici, sia le tecniche cabalistiche della permutazione delle lettere. Alemanno segue quindi un preciso criterio stilistico che prende a modello la lingua della letteratura profetica: solo essa infatti riesce a comunicare a tutti complesse verità di fede spingendo nello stesso tempo ogni uomo ad un comportamento virtuoso. L’ebraico che troviamo nell’Immortale si distingue nettamente da quello correntemente usato nella produzione filosofica medioevale; è una lingua che  intende riferirsi ad un modello retorico del sapere e non ad un procedimento dialettico né tantomeno logico; attraverso di essa non si vuol procedere per dimostrazioni apodittiche e sillogismi, ma si vuol esercitare un’arte della persuasione a fini etico-politici. Come le parole dei profeti, il discorso formulato a partire dal metodo retorico riesce a “raggiungere i più senza nascondersi all’osservazione dei saggi” (pag.122), è adatto a divulgare ogni tipo di sapere e permette l’educazione della massa incolta e l’uscita dallo stato di decadenza in cui secondo Alemanno si trova il popolo ebraico in quegli anni. I profeti e in particolar modo Mosè sono i più grandi esponenti di quest’arte, ed ecco allora che la Scrittura rappresenta il modello stilistico per eccellenza.  Questa scelta formale rende piuttosto ardua la lettura dell’opera sia nella versione originale che nella traduzione italiana : il testo è infarcito di versetti biblici – all’occorrenza anche lievemente modificati, come ad esempio quando si cita Gen.18:12 sostituendo shirah, che significa cantica a Sarah    e spesso si gioca sulla natura ambigua di molti termini presenti con differenti significati sia nella Scrittura che nel vocabolario filosofico ebraico del Medioevo. Si può segnalare a questo proposito  l’uso di  higgayon, che in ebraico biblico significa “meditazione”, “pensiero” e che nella produzione dei filosofi ebrei medievali indica invece la “logica”.

 Il ritratto di Alemanno che emerge da queste pagine è ricostruito completamente sul testo. Questo è l’aspetto più interessante dell’approccio di Lelli, che rifiuta impostazioni ideologiche e si misura direttamente sul campo dei contenuti dell’opera, rintracciandone le fonti e mettendo a fuoco l’uso che ne viene fatto dall’autore. Sottratto al cliché del “maestro di cabala di Pico della Mirandola”, Alemanno è restituito all’intreccio tra cultura ebraica e umanesimo italiano in tutta la sua complessità. Così, se da un lato il significato che la retorica assume nella sua opera lo avvicina ad un certo umanesimo “letterario” (e lo allontana ad esempio da Pico, spesso polemico contro le squisitezze stilistiche di alcuni contemporanei), i suoi punti di riferimento in questa operazione restano saldamente ancorati  alla cultura filosofica ebraica medioevale e soprattutto alla Scrittura come esempio di perfezione linguistica e stilistica. Occorre tuttavia rilevare che solo il completamento dell’edizione dell’ Immortale può portare a compimento questo lavoro di ricollocazione critica di Alemanno sulla base dei suoi scritti e ne auspichiamo quindi il proseguimento in tempi brevi.

 

Angela Guidi

23/10/2000